SVITATI MA CON LE IDEE CHIARE
Nasce il progetto "Gli Svitati", gruppo fondato da cinque storici vignaioli italiani che promuovono il tappo a vite anche per le bottiglie di vino pregiato.
Sono il piemontese Walter Massa, il friulano Silvio Jermann, il veneto Graziano Prà, il trentino Mario Pojer e gli altoatesini Franz Haas Jr e Maria Luisa Manna, figlio e moglie di Franz Haas, scomparso l'anno scorso. Tutti produttori di vini di alto livello.
Giocano sul termine "svitati" che non significa essere né dei matti, né dei visionari ma persone con i piedi ben piantati nel vigneto.
IL SUGHERO NON GARANTISCE LA PERFEZIONE
Osservano che il sughero non è un materiale né inerte né neutro e, nonostante i grandi miglioramenti degli ultimi anni, non garantisce il perfetto mantenimento delle qualità organolettiche del vino cercate in vigna e valorizzate in cantina, la corretta evoluzione nel tempo e l'omogeneità qualitativa in tutte le bottiglie.
A differenza di quanto accade invece con il tappo a vite, che a una sessantina d'anni dalla sua nascita è diventato complice e fidato alleato del vignaiolo che ama far invecchiare i suoi vini.
BIANCHI E ROSSI PERFETTI ANCHE A VITE
Un dato difficile da contestare, come dimostrano diverse ricerche internazionali che a Villa Sorio di Gambellara, nel Vicentino, dove "Gli Svitati" si sono presentati alla stampa, sono state illustrate da Fulvio Mattivi, già ordinario di Chimica degli alimenti all'Università di Trento e collaboratore della Fondazione Edmund Mach.
"A distanza di anni, il vino sia bianco che rosso in tutte le bottiglie con il tappo a vite - spiega Mattivi - aveva un colore ancora brillante e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali, uguali a quello delle migliori bottiglie chiuse con il sughero".
Ribaltando il concetto, si può dire che in assenza di difetti il tappo tradizionale dà lo stesso ottimo risultato del tappo a vite, che ha il vantaggio di avere "una permeabilità all'ossigeno molto più bassa ma costante e regolabile a seconda del rivestimento utilizzato al suo interno".
"Ma soprattutto garantisce di non trasmettere al vino né odori, né sapori - ha evidenziato Jermann che con il tappo a vite chiude anche il suo famosissimo "Vintage Tunina" - né tantomeno rischia di ingessarlo grazie ad un'evoluzione lenta ma costante".
Soprattutto in Italia, il pregiudizio e lo stigma verso la sofisticata e tecnologica capsula di alluminio è dura a morire. Il sughero naturale (molto meno il suo clone sintetico) è ancora associato al vino di qualità "da enoteca", mentre il suo "moderno" rivale al vino di fascia economica in vendita al discount.
Poi c'è il rituale dell'apertura, condito dall'immaginario del sommelier che porta il tappo al naso per decifrare eventuali disastri avvenuti in bottiglia: cerimoniali tradizionali ed evocativi spazzati via da una chiusura oggettivamente più prosaica ma "molto più efficace e sicura".
Nel 2020 in Italia il 20% delle bottiglie di vino (304 milioni) sono state chiuse con tappo a vite e nell'altrettanta tradizionalista Europa Occidentale la quota è arrivata al 34%.
Ancora più evidente se si guarda al dato mondiale, dove (sempre secondo Stelvin e Guala Closures, i maggiori player sul mercato) oggi quasi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con i tappi a vite (+9% sul 2015).
Si parla di trenta miliardi di chiusure per il vino fermo e frizzante vendute principalmente in Australia e Nuova Zelanda (dove sono il 77% del mercato locale), nell'Asia Pacifico (il 54%) e nel Nord America (il 42%).
Gli “svitati” imbottigliano anche i rossi importanti e i loro cru più noti, le loro strepitose punte di diamante che sul mercato si collocano nelle fasce di prezzo "premium" e "super premium".
Massa, Jermann, Prà, Pojer e Haas al momento non pensano di costituirsi in associazione (il che non esclude avere una sede), puntando piuttosto ad un movimento: vignaioli agitatori e aggregatori di altri produttori che guardano lontano.